Ultimamente sta crescendo l’attenzione verso nuove fonti energetiche: i biocarburanti.
Ma cosa sono i biocarburanti? I biocarburanti sono combustibili usati per produrre la cosidetta bioenergia, e i più noti sono i biocarburanti liquidi, che hanno un valore commerciale più alto rispetto ad altri biocombustibili, e sono usati come alternative ai combustibili fossili, soprattutto nel campo dei trasporti. Negli ultimi anni si è registrata una rapida crescita del settore dei biocarburanti, con un forte aumento degli investimenti e la crescita del mercato internazionale, salutando spesso con entusiasmo le (quasi) infinite possibilità nel settore per le regioni marginali, in particolare, dell’Africa.
Ma il più delle volte viene trascurato (o omesso) un aspetto importante legato alla loro produzione: le conseguenze economiche e sociali per le regioni produttrici. Lo sviluppo di colture energetiche e l’industria dei biocarburanti potrebbe, in effetti, presentare grandi opportunità per lo sviluppo rurale, in termini di approvvigionamento energetico per i poveri, l’intensificazione dell’agricoltura, riduzione della pressione sulle risorse forestali e miglioramento della salute. Ma investire in biocarburanti solleva forti preoccupazioni in termini di scarsità d’acqua, concorrenza con la produzione di colture alimentari, potenziale aumento dei prezzi alimentari e dei sistemi di sfruttamento agricolo che potrebbe by-passare i piccoli agricoltori.
Quindi una scelta inadeguata di colture di biocarburanti potrebbe causare conflitti sociali e dipendenza economica. Alcune recenti ricerche pongono l’accento su questo aspetto e si pongono il problema delle conseguenze sulla società africana, soprattutto in merito all’uso come materia prima della jatropha.
Perchè la jatropha? Perchè è una delle colture più ‘finanziate’ e spinte in Africa, anche se è risultata essere di gran lunga la coltura meno adatta in molte regioni marginali africane, sia per considerazioni di carattere economico (fase molto precoce di addomesticamento, mancanza di solide conoscenze agronomiche, basse rese e costi elevati di produzione), sia per preoccupazioni ambientali e sociali (tossicità, potenziale per diventare una specie invasiva e un vettore per alcune malattie della manioca).
Un’altra grave preoccupazione per la scelta della jatropha è la dipendenza da forze economiche esterne: la maggior parte delle aziende coinvolte nel mercato della jatropha sono europee, americane o asiatiche. In questo contesto ai paesi africani potrebbe essere lasciato il solito ruolo di produttore e esportatore di un raccolto non-commestibile. I gravi rischi associati a questo ruolo sono ben documentati nel recente passato africano, dove molti stati fecero affidamento sulle esportazioni di colture non commestibili come il cotone soffrendo le conseguenze catastrofiche del crollo dei prezzi sul mercato internazionale.
Considerando questi fattori, l’inaffidabilità del mercato e la concorrenza con le colture alimentari nelle terre arabili, possiamo concludere che gli investimenti a lungo termine per la jatropha pongono rischi molto elevati, con costi potenzialmente insostenibili per gli agricoltori africani. A livello politico, delle misure urgenti dovrebbero essere attuate per garantire che ragioni più sensate determinino la scelta della jatropha o di qualsiasi altra materia prima per lo sviluppo dei biocarburanti.
Le direttive politiche non dovrebbero solo guardare allo sviluppo dei biocarburanti come una questione legata all’energia, ma dovrebbero anche prendere in considerazione i problemi legati all’agricoltura, alla sicurezza alimentare e al sostentamento locale. Ci si dovrebbe rendere conto della posizione vulnerabile dei contadini di fronte alle società di biocarburanti e affrontarli in modo da evitare critiche, insoddisfazione e conflitti.
Questo articolo ci è stato inviato dagli amici di Affrica.org, il sito con notizie, informazioni e approfondimenti sull’Africa.
Pubblicazione: 15/05/2012 – Ultimo aggiornamento: 15/05/2012
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Sono contraria alla produzione dei biocarburanti… che di “bio” hanno ben poco, come le “lampadine a risparmio energetico” hanno poco di “ecologico”, visto che hanno il vapore di mercurio.
Mi ha colpito questo paragrafo: ” Lo sviluppo di colture energetiche e l’industria dei biocarburanti potrebbe, in effetti, presentare grandi opportunità per lo sviluppo rurale, in termini di approvvigionamento energetico per i poveri, l’intensificazione dell’agricoltura, riduzione della pressione sulle risorse forestali e miglioramento della salute”.
Cosa significa “approvvigionamento energetico per i poveri?” Che si potranno comprare una macchina che va a “bio carburante”? o che disporranno di illuminazione elettrica?
In che modo la coltivazione di questa pianta non commestibile potrebbe migliorare la salute”?
Forse ho interpretato male l’articolo e se è così me ne scuso.
Sono quello che si dice un’ambientalista convinta; ma con i piedi molto ben piantati in terra. La coltivazione di piante per i bio carburanti ha prodotto fino adesso soltanto povertà per i paesi già impoveriti da guerre del petrolio, inoltre, aumenta la voracità delle multinazionali… mai sentito parlare del “furto di terre”?
Sono anche convinta che non tutto quello che ci “spacciano” per progresso lo sia. Non dico che dovremo tornare alle candele. Se non vogliamo gli inceneritori, dovremo evitare di produrre rifiuti. Se non vogliamo l’inquinamento prodotto dalle automobili, dovremo ridurre le automobili, non far coltivare agli africani una pianta non commestibile anzichè la manioca. Ecco. Dovremo tornare indietro: Consumando di meno.